Questa volta ci troviamo in provincia di Viterbo, per parlare del celeberrimo Parco dei Mostri di Bomarzo (o “Sacro Bosco”), immerso nella campagna.
È stato realizzato tra il 1552 e il 1558 per volere del principe Pier Francesco Orsini, e intenzionalmente costruito con l’obiettivo di stupefare coloro che lo percorrono per la prima volta.
Anche il pittore surrealista Salvador Dalì ebbe l’onore di ammirare questa meraviglia nel 1948, facendosi fotografare in pose stravaganti e bizzarre, tipiche della sua eccentrica personalità.
Questo mastodontico sentiero colmo di simboli accoglie imponenti mostri di pietra, animali mitologici ed edifici surreali, come la “casa pendente”: un’abitazione edificata su una roccia inclinata, che ho soprattutto apprezzato per il tipo di esperienza sensoriale che propone.
Si può accedere nell’edificio dal secondo piano, dal quale si intravedono delle stanze prive di arredo. Permettetemi di metterla a confronto con un grande capolavoro come il dipinto della camera di Vincent Van Gogh ad Arles, di cui ne esistono tre versioni.
Sembrerà assurdo ma c’è più di qualcosa che accomuna la casa pendente di Bomarzo con la camera di Vincent ad Arles, a partire dalla prospettiva e dal coinvolgimento emotivo: il dipinto suggerisce un senso d’angoscia, di chiusura, di oppressione; si tratta di un senso provocato dall’inclinazione di pareti e pavimento, che fanno sembrare all’occhio che tutto stia per collassare.
Stessa cosa accade per la casa pendente, dove, entrando, si avverte fin da subito questa strana sensazione di squilibrio fisico, che porta a un disorientamento complessivo, e solo dopo aver scattato una foto si percepisce come il corpo sia inclinato rispetto al pavimento e alle pareti: parliamo di un’inclinazione di circa 10°.
Se torniamo alla camera di Van Gogh, troviamo un ambiente molto semplice, costituito da pochi elementi, come le due sedie e il letto che ricordano la sua estrema solitudine, ma, in particolare, è come se si avvertisse una presenza inquietante all’interno della stanza, pur essendo priva di presenza umana.
Ugualmente nella casa pendente: si avverte la stessa sensazione di solitudine, di vuoto.
Entrando, mi è sembrato di poter percepire la storia di quella casa e di coloro che ne hanno fatto parte, pur essendo appunto una casa spoglia di oggetti privati.
Questo luogo mi ha fatto pensare fin dal primo istante alla tematica degli opposti: gigante-minuscolo, statico-dinamico, dentro-fuori.
Fuori dalla casa, poi, ci sono le sculture: mostri di pietra che fanno pensare ai mostri interiori, a quelle paure, o quei timori che ci appartengono, ma da cui l’uomo soprattutto si allontana perché è terrorizzato alla sola idea di perdersi in questo vortice.
Queste sculture sembrano volerci comunicare qualcosa, con i loro occhi e le loro bocche spalancate, che sia rabbia, disgusto, felicità o tristezza, noi sappiamo che le abbiamo già incontrate in qualche manuale di storia dell’arte, ci fanno pensare allaTesta di Medusa del Caravaggio, oppure al Volto della guerra di Salvador Dalì, ma anche al Saturno che divora i suoi figli di Goya.
Vorrei concludere con una frase incisa sulla bocca dell’orco che dice: “Ogni pensiero vola”.
È un invito a sognare ad occhi aperti, arrivando al punto di lasciarvi trasportare dalle vostre sensazioni, e fidatevi che non è affatto male!
Se mai vi verrà voglia di farlo, sono sicura che inizierete da qui!
Denise Scascitelli Benedetti